Le diverse componenti del mondo della conoscenza, riunite nella giornata di mobilitazione contro il ddl Gelmini, esprimono la loro grave preoccupazione per le politiche che questo governo sta attuando, politiche di destrutturazione complessiva del sistema pubblico di istruzione a tutti i livelli che si inseriscono in un preciso disegno volto a minare i diritti fondamentali di studenti, lavoratori e docenti.
L’opposizione ad un attacco così pervasivo di tutti i settori della società non può che essere altrettanto unitaria e complessiva, superando ogni istanza particolarista e corporativa.
Il Ddl Gelmini è l’atto finale di questo processo, che affonda le sue radici nelle riforme dei primi anni Novanta, dalla riforma Ruberti alla riforma Berlinguer, che introdussero in Italia il sistema dell’autonomia.
L'università, come altri settori, diventa terreno di sperimentazione di una nuova concezione della gestione degli enti pubblici improntata ad un’ ottica aziendalista, che formalmente mirava a snellire la macchina statale portatrice di indebitamento e sprechi.
L'autonomia didattica ha portato ad un'incontrollata ed irrazionale proliferazione di corsi e di sedi distaccate, spesso nati non per arricchire l’offerta formativa ma per alimentare il potere della corporazione baronale; la localizzazione dei concorsi ha soffocato la ricerca in un opprimente gerarchizzazione e favorito avanzamenti di carriera a scapito di nuove assunzioni, senza contare che la possibilità di determinare l'ammontare dei contributi studenteschi ha determinato un vertiginoso aumento della tassazione. E' evidente che l'autonomia in Italia non ha significato trasparenza e condivisione ma lottizzazione ed appropriazione del potere, non ha significato efficienza ed economicità ma è stato lo strumento attraverso il quale lo Stato, diminuendo progressivamente la quota di trasferimenti di fondi, ha scaricato i costi della formazione superiore sulle casse degli atenei e sulle tasche degli studenti.
Tale situazione, aggravata dai tagli di circa un miliardo e mezzo di euro disposti dalla legge 133/08 che prevede parallelamente la possibilità per i Senati Accademici di decidere a maggioranza la trasformazione in Fondazioni di diritto privato, stanno portando la quasi totalità degli Atenei italiani al collasso finanziario, ponendoli di fronte all’alternativa ricattatoria tra la chiusura e la privatizzazione.
Se a ciò si aggiungono le impossibilità per gli Atenei di raggiungere i requisiti necessari imposti dai decreti attuativi della 270/04 (vedi DM 544/04 e la nota 160/09), dato il costante blocco del turn-over dei docenti, tali provvedimenti determinano inevitabilmente il definitivo passaggio alla privatizzazione dell'Università italiana. Questo macabro meccanismo, che vincola l’apertura dei Corsi di Laurea a degli standard di numerosità di docenti strutturati e studenti per ciascun corso, è evidente frutto di quella logica – politicamente trasversale, se si riflette su chi ha attuato il DM 544/07 – che vuole ridimensionare non solo il ruolo ma anche la portata critica della formazione universitaria. In questo modo si ha la sola alternativa tra l’accorpamento di corsi, distruggendo ogni specializzazione formativa (e di ricerca) per gli studenti (così come per i docenti), oppure la chiusura, ossia l’estinzione di corsi spesso essenziali come Fisica o Filosofia, compromettendo la possibilità di una conoscenza realmente critica e speculativa per le nuove generazioni.
Tuttavia il Disegno di Legge Gelmini si presenta come un attacco ancor più decisivo, portando a compimento quello inferto con la legge 133/08 poiché impone de facto l’aziendalizzazione e la privatizzazione all’intero sistema, un attacco ammantato con l’ipocrita retorica dell’efficienza e del merito.
Il ddl va a ridefinire in quest’ottica tutti gli aspetti del sistema della formazione, dalla Governance al diritto allo Studio al mondo della Ricerca.
Si ridisegna il sistema di governo degli Atenei imponendo in maniera complessiva e generalizzata l’ingresso di enti esterni e privati nei consigli di amministrazione ai quali vengono conferite gran parte delle competenze prima spettanti ai Senati Accademici, limitando in modo decisivo gli spazi di rappresentanza degli studenti e del personale tecnico-amministrativo. Ciò va a compromettere in maniera irreversibile la libertà della didattica e della ricerca e di fatto la stessa natura pubblica del sistema.
Sul fronte del diritto allo studio si prevede una delega in bianco al governo.
Al contrario il sistema del diritto allo studio in Italia avrebbe bisogno di una riforma condivisa in grado di garantire a tutti l’accesso alla formazione pubblica e di qualità finanziando la copertura totale delle borse di studio ed eliminando le profonde diseguaglianze tra Nord e Sud.
Col Ddl Gelmini si sceglie di stornare risorse pubbliche indirizzandole in un ridicolo fondo per il merito che incentivi lo strumento del prestito d’onore il quale indebiterà gli studenti ancor prima di affacciarsi al mondo del lavoro.
Nella parte relativa alla riforma dei sistemi di reclutamento, il grande assente continua a risultare il precariato, su cui si è retto di fatto la didattica e la ricerca negli anni dell’autonomia; quella schiera costituita da dottorandi, docenti a contratto, assegnisti di ricerca, ricercatori a tempo determinato e contrattisti vari.
Mentre si mette ad esaurimento la figura del ricercatore a tempo indeterminato si istituzionalizza la figura del ricercatore a tempo determinato estromettendo una generazione intera dai regolari processi di avvicendamento accademico, senza risolvere il problema della mancanza di trasparenza e di meritocrazia del sistema attuale.
In questa situazione drammatica la mancanza di un piano di reclutamento, che tenga conto del rapporto tra il numero dei dottorandi, assegnisti di ricerca e personale strutturato, non può che portare ad un aumento smisurato del precariato, oltre che allo svilimento della qualità della ricerca, determinato dalla mancata programmazione di un piano coordinato della ricerca.
Pienamente colpito da questo attacco è inoltre il personale tecnico amministrativo, che sta già pagando i prezzi di questa “riforma” avviata in via “sperimentale” dai rettori negli atenei italiani.
Chiusura di sedi, tagli di corsi, fusioni di atenei, esternalizzazioni di servizi, di strutture tecniche ed amministrative, accorpamenti di dipartimenti, svendita a istituzioni e poteri locali di pezzi o intere Università, regionalizzazione degli atenei, precarizzazione del lavoro stabile e generalizzazione della precarietà si stanno abbattendo sui lavoratori tecnici-amministrativi nel più completo silenzio.
Allo stesso tempo resta in ombra l'attacco senza precedenti ai lavoratori, alla loro dignità, alle tutele e conquiste contrattuali (taglio del salario accessorio, blocco progressioni economiche, professionali, blocco turn over e stabilizzazione precari ecc...) mascherato dalla lotta contro i fannulloni (legge 150).
Parallelamente ai provvedimenti a carico dell’università infatti il ministro Gelmini ha riformato tutte le scuole di ogni ordine e grado attraverso un piano di tagli ai fondi e al personale delle scuole, che determinano una forte riduzione dell’offerta formativa e, in generale, disservizi e irregolarità ai danni degli alunni (sovraffollamento delle classi; impossibilità di supplire alle assenze dei docenti e di assicurare agli studenti disabili un adeguato orario con gli insegnanti di sostegno; triplicazione del carico di lavoro affidato al personale ATA con conseguente abbassamento delle condizioni igieniche e di sicurezza; tempo pieno non garantito nelle scuole elementari, causa di una vera e propria emergenza sociale tra le famiglie; etc. etc.).
È evidente che lo stesso disegno privatizzante contenuto nella 133 e nel ddl Gelmini investirà anche gli altri gradi della formazione primaria e secondaria in una possibile attuazione del disegno di legge Aprea.
Messo in questi termini, il complesso di tali provvedimenti non può che ridurre la scuola e le università ad un contenitore vuoto producendo come unico vero effetto la generalizzazione della disuguaglianza. Questo disegno classista, volto ad annichilire la formazione critica della società distruggendo le possibilità di istruzione diffusa e generalizzata della popolazione, si attua dunque sul duplice livello di privatizzare scuola e università prima per poi, conseguentemente, svuotare di sostanza l’intero comparto della conoscenza.
Ci opponiamo e ci opporremo con forza a questo progetto, con ogni mezzo necessario, contro ogni fazione politica che lo voglia portare avanti, data la trasversalità che, purtroppo, lo caratterizza.
Gli studenti, i lavoratori, i docenti e i ricercatori dell’Università devono sollevarsi e fare fronte comune contro questo piano subdolo e scellerato, che spaccia distruzione per razionalizzazione, ignoranza per meritocrazia.
L'assemblea richiede
LA RINUNCIA VOLONTARIA DEI RICERCATORI AD ASSUMERE INCARICHI DI DI DOCENZA ED ALTRE INIZIATIVE DI ANALOGO SEGNO
IL SOSTEGNO ALLE INIZIATIVE DELLA MOBILITAZIONE STUDENTESCA
TUTTE LE INIZIATIVE NECESSARIE, ANCHE DI CARATTERE LEGALE, PER IMPORRE IL RISPETTO DEGLI ACCORDI SOTTOSCRITTI A PARTIRE DALLA CONDANNA DEI GRAVI ATTI DELIBERATI DALL'AMMINISTRAZIONE DELL'UNIVERSITA' DI SIENA CONTRO IL PROPRIO PERSONALE, IN PARTICOLARE NEI CONFRONTI DEI LETTORI E CEL CUI VENGONO DECURTATI FINO AI 2/3 DELLO STIPENDIO
LA PROMOZIONE DI TUTTE LE AZIONI DI SOSTEGNO PER LA SALVAGUARDIA DEL PROPRIO POSTO DI LAVORO
LA RIPRESA DI UN RECLUTAMENTO ORDINARIO E STRAORDINARIO IN GRADO DI ASSICURARE PROSPETTIVE E FUTURO AI PRECARI E AI GIOVANI
e pretende
LA CONVOCAZIONE DEGLI STATI GENERALI DELL'UNIVERSITA' PRIMA DELL'APPROVAZIONE DEFINITIVA DEL DDL GELMINI
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